Con l’inizio del secondo mandato di Trump, il protezionismo USA e i nuovi dazi colpiscono l’export italiano. Scopri l’impatto sulle imprese e le strategie per superare le barriere tariffarie.

Con l’inizio del secondo mandato di Donald Trump nel 2025, il panorama commerciale internazionale è entrato in una fase di crescente protezionismo. Sebbene i dazi non siano una novità nella politica americana, Trump ha ulteriormente radicato l’approccio con la sua politica “America First” e il rilancio del “Buy American”. Questa direzione è stata già anticipata durante la sua prima presidenza, con l’introduzione di dazi che sono stati mantenuti anche sotto la presidenza di Biden. Storicamente, gli Stati Uniti hanno oscillato tra aperture al libero scambio e misure protezionistiche, riflettendo le tensioni tra le politiche economiche multilaterali e le esigenze interne.

Il protezionismo: esigenze e impatti

Il ritorno del pensiero mercantilista sotto Trump sottolinea un focus sulla bilancia commerciale, cercando di vendere il più possibile e comprare il meno possibile. I dazi, imposte sulle merci in arrivo dall’estero, sono utilizzati con l’obiettivo di proteggere la produzione interna dalla concorrenza estera. Ad esempio, un dazio del 25% sui formaggi italiani importati negli USA potrebbe far salire il prezzo da 20 dollari a 25 dollari al chilo per un distributore americano, con l’onere finale spesso ricadente sui consumatori.

Tuttavia, l’efficacia dei dazi dipende dall’elasticità della domanda: se i consumatori ritengono che i prodotti esteri siano superiori o necessari, potrebbero comunque acquistarli nonostante il sovrapprezzo, contribuendo all’inflazione. L’opinione pubblica americana è divisa su questo tema, con molti che temono un aumento dell’inflazione come conseguenza diretta per i consumatori. Secondo Goldman Sachs, ogni aumento dell’1% dei dazi su Canada e Messico potrebbe far crescere l’inflazione dello 0,1%. Parte dell’opinione pubblica americana teme, inoltre, che i produttori nazionali possano sfruttare l’aumento dei prezzi dei prodotti importati per incrementare ingiustificatamente e in modo speculativo i propri prezzi, rischiando di innescare una spirale inflazionistica.

I settori maggiormente colpiti dai dazi statunitensi comprendono la manifattura e l’agricoltura, due pilastri dell’economia italiana ed europea. La manifattura, in particolare, soffre quando i dazi colpiscono componenti importati necessari per la produzione di macchinari pesanti, automobili ed elettronica di consumo. Questi settori, fortemente integrati nelle catene di approvvigionamento globali, vedono aumentare i costi dei componenti importati, spingendo i produttori a trasferire tali aumenti sui consumatori. Anche l’agricoltura risente pesantemente dei dazi, specialmente quando i prodotti esportati, come formaggi e salumi italiani, diventano meno competitivi sul mercato statunitense a causa degli aumenti di prezzo. Al contrario, i settori tecnologici e farmaceutici, concentrati maggiormente su prodotti digitali e produzione domestica, risultano meno vulnerabili ai dazi. Tuttavia, la diversificazione delle strategie di approvvigionamento e l’ottimizzazione delle catene di fornitura sono essenziali per mitigare l’impatto e garantire la competitività.

Il Wall Street Journal ha definito questa situazione “the dumbest trade war in history”, riflettendo le preoccupazioni interne riguardo all’inflazione e ai rincari sui consumatori. 

Il commercio Italia-USA: una relazione cruciale

 

Dazi Usa

Quali sono le soluzioni che hanno le aziende italiane per superare i dazi americani?

Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato per le esportazioni italiane, concentrandosi su settori come meccanica, moda, e agroalimentare. Nel 2024, l’export verso gli USA ha raggiunto i 67,3 miliardi di euro, con una bilancia commerciale in attivo di 42 miliardi. Tuttavia, i nuovi dazi potrebbero costare all’Italia fino a 12 miliardi di dollari, colpendo duramente le nicchie di mercato ad alto valore aggiunto che definiscono il Made in Italy. 

Nella sua precedente presidenza, Donald Trump aveva annunciato l’imposizione di dazi su tutti i prodotti provenienti dall’Unione Europea, ma successivamente i dazi furono applicati solo a specifici prodotti, come formaggi italiani, salumi e liquori, mentre il vino italiano riuscì a evitare tali misure. Questa esperienza indica che le minacce di dazi generalizzati potrebbero essere utilizzate come leva negoziale per ottenere concessioni mirate dai singoli governi europei. Di conseguenza, sembra giusto evitare allarmismi, riconoscendo che i dazi potrebbero avere un’applicazione molto più limitata rispetto a quanto annunciato. Tuttavia, è prudente che le aziende italiane si preparino a queste eventualità, diversificando i loro mercati di esportazione e rafforzando la loro resilienza commerciale.

Strategie legali e operative per superare i Dazi

In un contesto commerciale caratterizzato da incertezze e barriere tariffarie crescenti, le aziende italiane ed europee devono adottare strategie ben strutturate per mitigare l’impatto dei dazi e rafforzare la loro posizione nel mercato statunitense. Di seguito sono illustrate alcune strategie chiave:

  1. Produzione negli Stati Uniti:  Una delle strategie più efficaci per evitare i dazi è stabilire una presenza fisica negli Stati Uniti attraverso l’apertura di stabilimenti produttivi, centri di assemblaggio o hub logistici. Questa strategia consente alle aziende di importare componenti piuttosto che prodotti finiti, i quali sono spesso soggetti a dazi più elevati. Producendo o assemblando i prodotti sul suolo americano, le aziende possono ridurre l’esposizione ai dazi, poiché il prodotto finale può essere considerato di origine statunitense se una parte significativa del processo produttivo avviene localmente. Questo approccio richiede che i componenti importati vengano trasformati in modo sostanziale negli Stati Uniti, rispettando le normative di origine. Inoltre, creare una base operativa negli USA migliora la logistica, riduce i tempi di consegna e accresce la percezione del marchio come “locale”, aumentando così la competitività nel mercato americano. Collaborare con produttori locali o formare joint venture con aziende americane può fornire accesso a competenze locali, incentivi governativi, e rafforzare la credibilità presso clienti, investitori e partner commerciali. In alternativa, le operazioni di fusione e acquisizione (M&A) possono permettere alle aziende italiane di acquisire aziende locali, stabilendo immediatamente una presenza nel mercato e beneficiando delle risorse e competenze già esistenti.
  2. Ottimizzare le catene di approvvigionamento internazionali: Per le aziende italiane che hanno già stabilimenti produttivi o centri di assemblaggio negli Stati Uniti, è possibile ridurre l’esposizione ai dazi ottimizzando le catene di approvvigionamento. Invece di importare tutti i componenti dall’Italia o dall’UE, queste aziende possono scegliere di approvvigionarsi da paesi non soggetti a dazi o con dazi inferiori, riducendo così i costi complessivi.
  3. Ristrutturazione strategica della supply chain: Un’alternativa allo spostamento della produzione negli Stati Uniti è trasferire l’assemblaggio finale o parte della produzione in paesi terzi non soggetti ai dazi statunitensi. Questa strategia consente alle aziende di evitare le tariffe senza dover stabilire una presenza diretta negli USA, riducendo così i costi complessivi di commercio.
  4. Differenziazione e valore aggiunto: Per competere in un ambiente ad alto costo, le aziende possono riposizionarsi enfatizzando qualità, innovazione e valore aggiunto piuttosto che competere solo sul prezzo. I brand di lusso, l’elettronica di fascia alta e le apparecchiature industriali avanzate possono mantenere una forte domanda, anche con variazioni di prezzo. L’innovazione all’avanguardia e la sostenibilità possono diventare elementi distintivi per attrarre i consumatori.
  5. Conoscenza e collaborazione nelle politiche commerciali: Le imprese devono acquisire una conoscenza approfondita delle regolamentazioni internazionali e americane, collaborando con professionisti locali per negoziare condizioni di commercio più favorevoli. Mantenere un dialogo aperto con partner commerciali e professionisti di settore permette di anticipare e adattarsi tempestivamente ai cambiamenti politici.
  6. Modelli di business digitali e ibridi:  Per le aziende che esportano beni fisici, i dazi possono rappresentare un ostacolo significativo. Un modo per mitigare questo impatto è esplorare modelli di business digitali che non sono soggetti alle stesse restrizioni tariffarie dei beni materiali. Le aziende, in particolare le startup tecnologiche, possono diversificare le loro offerte concentrandosi su soluzioni digitali come il software-as-a-service (SaaS), il cloud computing, le soluzioni di intelligenza artificiale (AI) e le piattaforme fintech. Questi servizi digitali possono essere offerti direttamente ai clienti senza incorrere in dazi sulle esportazioni fisiche. Inoltre, i modelli di business ibridi rappresentano un’opportunità per combinare la vendita di prodotti fisici con servizi digitali. Ad esempio, un’azienda che produce dispositivi hardware può offrire abbonamenti a servizi software complementari, integrazione con applicazioni basate su dati o servizi di analisi avanzata. Questi modelli consentono alle aziende di ridurre la dipendenza dalle vendite di beni fisici soggetti a tariffe, espandendo al contempo il loro portafoglio di offerte e creando flussi di entrate ricorrenti attraverso abbonamenti e servizi digitali.

L’impatto delle tariffe sull’industria tecnologica italiana

Soluzioni dazi americani

Gli impatti dei dazi di Trump sulle aziende tecnologiche italiane

L’impatto delle tariffe statunitensi potrebbe essere significativo per l’industria tecnologica europea e il suo ecosistema di startup, con effetti distinti a seconda del tipo di prodotto offerto. 

Le aziende tecnologiche italiane che esportano beni fisici, come hardware e dispositivi elettronici, potrebbero affrontare un aumento dei costi associati alle tariffe imposte sui loro prodotti una volta giunti sul mercato statunitense. Queste tariffe possono ridurre la competitività dei prodotti italiani rispetto a quelli di produzione locale o di paesi non soggetti a dazi, poiché i prezzi al consumo potrebbero aumentare per compensare i costi aggiuntivi.

D’altro canto, le aziende che offrono prodotti digitali, come software e servizi cloud, non sono soggette alle stesse tariffe sui beni fisici, ma potrebbero comunque risentire delle tensioni commerciali attraverso possibili restrizioni sui dati o regolamenti sui servizi digitali. Questi cambiamenti potrebbero aumentare i costi operativi e richiedere alle aziende di adattarsi a nuove normative, complicando la loro operatività internazionale.

Le difficoltà connesse al capital raise potrebbero intensificarsi per entrambe le categorie, poiché l’incertezza economica può rendere gli investitori più cauti, ostacolando gli sforzi di raccolta fondi per le startup tecnologiche emergenti.

Infine, le barriere all’ingresso nel mercato statunitense potrebbero scoraggiare le startup dall’espandersi negli Stati Uniti, limitando le opportunità di crescita in un mercato chiave. Per affrontare queste sfide, l’industria tecnologica italiana dovrà essere agile e strategica, cercando nuove collaborazioni con partner americani (anche attraverso joint ventures e alleanze strategiche) per mitigare l’impatto eventuale dei dazi e mantenere la competitività. Investire in ricerca e sviluppo, oltre a puntare su innovazioni che valorizzino il Made in Italy, potrebbe inoltre aiutare a distinguere i prodotti italiani nel mercato globale, mitigando l’impatto dei potenziali dazi e rafforzando la competitività.

Con queste strategie, le aziende possono affrontare efficacemente le sfide poste dai dazi, garantendo una crescita sostenibile e competitiva nel lungo termine.

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